Canto di primavera

Canto di primavera

Primavera d’intorno brillava in quella sera mite e luminosa. All’esultanza dei campi rispondeva il lieto vociare dei contadini e il cinguettio delle fanciulle, quasi da non sembrare il rientro da una giornata di lavoro nei campi, ma da una scampagnata domenicale.
Zefiro, tornato alla carica, spargeva i novelli odori e quel friccico di vitalità che aveva contagiato tutti.
Angelina e le compagne avevano notato il canto solitario di un contadino che camminava poco avanti a loro: “E me s’allunga, me s’alluuungaaa!”, ripeteva da un po’.
Le ragazze scherzavano e azzardavano ardite congetture molto “primaverili”, delle quali però subitamente arrossivano (ah la casta porpora del buon tempo antico!).
Da un pezzo avevano passato il crocefisso e preso l’ultimo pezzo di strada, dove la curva dell’orizzonte svela le prime case del paese e l’uomo continuava il suo canto solitario: “E me s’allunga, me s’alluuuungaaa!”
Quando infine si incominciò a scendere verso l’abitato, Angelina e le compagne non seppero più resistere alla curiosità, affrettarono il passo, raggiunsero il cantore solitario, si fecero coraggio e chiesero: “Ma insomma, nun ce lo volete di’? Che è che ve s’allunga?”
L’uomo seguitò il suo cammino, fingendo di non vederle, e riprese il canto: “e me s’allunga, me sa llunga, e me s’allunga la ggiornaaaataaa!”.