Memoria

Memoria

Tra i ricordi degli ormai lontanissimi anni della scuola elementare ce n’è uno che mi riporta alla fine degli anni ’70, quando arrivò in classe una nuova compagna, una bambina spaesata e un po’ ribelle, anche perché costretta dalle necessità familiari di lavoro a un trasferimento che non avrebbe voluto.

Veniva dalla Campania, perciò per tutti era napoletana – cioè proveniva da quella città che nei discorsi della gente del nord era una sorta di simbolo di tutti i problemi del meridione – e parlava un italiano stentato, pesantemente dialettale, che forse per lei era uno strumento di quella ribellione verso il mondo che stava mettendo in atto.

Naturalmente la bambina turbò subito l’equilibrio della classe e l’anziana maestra, non riuscendo a tenere sotto controllo la situazione, non trovò di meglio che incominciare a rimproverarla duramente e approfittare della diffidenza nostra nei suoi confronti per isolarla e farcela vedere come un corpo estraneo, impossibile da integrare più per le sue tare ataviche (etniche) che non per l’incapacità dell’insegnante.

Ripensandoci anni dopo, la cosa che più mi è rimasta in testa di quella vicenda, non senza un po’ di senso di colpa, è proprio la riprovazione di noi ragazzini “integrati” – compresi coloro che fino al giorno prima erano gli “ultimi della classe” – per la nuova arrivata, per la bambina del sud dai modi bruschi e dalla parlata incomprensibile, anche di quelli che, come me, erano a loro volta figli di emigranti.

Tutti ci ritrovammo dalla stessa parte, tutti schierati a fianco del potere a intonare il coro di riprovazione per quel corpo estraneo che turbava l’ordine costituito.

Lo so, eravamo ragazzini, ma ogni volta che si celebra la giornata della memoria mi ricordo di quei momenti, perché in fondo la forza del potere sta proprio nella capacità di usare la legge come un dato identitario, discendente dal sangue per escludere i nemici dell’ordine; in questo e nella capacità di creare un gioco di specchi che rimandano rinforzate le naturali paure ancestrali, così che il popolo non chieda conto delle difficoltà e delle disuguaglianze, ma si unisca compatto contro un capro espiatorio.

Vabbè, eravamo ragazzini, e non voglio certo accostare questi fatti alla Shoah che ha una sua terribile unicità, ma questa storia mi serve per ricordare che molti meccanismi sociali che resero possibile l’olocausto purtroppo sono ancora presenti.