Variazioni op. 32

Variazioni op. 32

Racconto breve in contrappunto dodecafonico.

 

O.

“Quel vizio finirà per ucciderti!” ripeté per l’ennesima volta Anna distrattamente e con tono ormai rassegnato.

Non era riuscita a trattenersi dal proferire la sua minaccia quando con la coda dell’occhio lo aveva visto avvicinarsi al vecchio portasigarette d’argento mentre era intenta a leggere la partitura del nuovo concerto che Anton stava componendo.

Anna vedeva la trama della composizione dipanarsi, così chiara pur nella sua complessa articolazione; chiara almeno per lei che ormai conosceva bene quella scrittura. Di lui infatti conosceva lo stile, i tic e le compulsioni, tutto ciò che era parte integrante del suo modo di essere e che diventava un tratto personale nella composizione.

Osservando attentamente la partitura notò però qualcosa di strano: questa volta Anton aveva tralasciato di riempire i margini del foglio pentagrammato di tutti quei segni e quelle annotazioni senza le quali normalmente non si sarebbe preso nemmeno il tempo di un caffè o di una sigaretta. Lo ripeteva sempre: “Sai Anna non potrei interrompere il mio lavoro, neppure per pochi minuti, senza annotare il flusso del mio pensiero, che è ben più veloce della mano e della scrittura!”. Ebbene questa volta nulla, nemmeno un segno; la musica interrotta, il pentagramma lasciato improvvisamente vuoto, come muto. Anna ne fu sorpresa, e un poco turbata. Anton intanto aveva tolto una sigaretta dal cofanetto ed era rimasto pensoso in silenzio per un po’ a picchiettarla sul piano del tavolino, come per compattare il tabacco. A un tratto si voltò verso la donna e in quel momento per la prima volta realizzò quanto è bello avere accanto qualcuno che ti ama veramente, vale tutta la musica del mondo!

“Esco a fumare”

“mhm”

“no?”

“mah!”

“a che pensi?”

“Non lo so. Con tutto il trambusto che c’è di sotto, i soldati… mi sa che stanno perquisendo la casa di Robert… Queste cose mi mettono ansia… Ma quando finirà questa guerra?”

“Sì, è davvero pesante… ora però ho bisogno di una sigaretta, devo distendermi un po’ e ho bisogno di liberare la mente per riprendere a lavorare al concerto.”

Anton aprì la porta-finestra che dava sul balcone, restò per un attimo sulla soglia a respirare l’aria fresca della sera, infine accostando la porta dietro di sé uscì a fumare.

Anna stava ancora interrogandosi sul senso di quella strana dimenticanza quando improvvisamente udì lo sparo. Un botto tremendo, come se avessero sparato proprio dentro casa sua. Fu investita da un’ondata di angoscia e non riusciva nemmeno a gridare. Corse fuori, sul terrazzino e lo vide steso a terra con il volto pieno di sangue. Si buttò sopra di lui, lo scosse, lo chiamò più volte… Ormai Anton non poteva più risponderle.

Di sotto, nel cortile era scoppiato il caos, un via vai di soldati; urla, corse…

Nel frattempo Anna aveva trovato la forza di chiamare la polizia. Furono momenti di grande confusione, la donna era sconvolta e stava per crollare. Si sedette per cercare di riprendersi, ma fu sopraffatta dall’angoscia e dalla disperazione. Due soldati le parlavano, ma ormai non udiva più nemmeno le voci intorno a sé.

Erano quasi le 21 quando arrivò il commissario Kammerton, della polizia criminale.

 

     R – i.

Alle 21 circa il commissario della polizia criminale Kammerton giunse sul luogo del delitto.

La casa era una piccola villa in un quartiere abbastanza centrale, ma tranquillo, almeno quanto possibile in quel settembre del 1945.

Entrando capì subito che era successo qualcosa di insolito: il cortile della villa era pieno di soldati inglesi che andavano e venivano e la cosa non prometteva nulla di buono.

Salì al piano superiore e trovò due ufficiali intenti a dare spiegazioni a una donna che stava seduta lì con un’aria sconvolta, evidentemente assente e poco interessata ai discorsi dei due soldati. Avvicinandosi al terrazzino poté vedere il cadavere: quell’Anton, un musicista gli avevano detto, steso riverso a terra pieno di sangue e con il volto sfigurato da un colpo di fucile che gli aveva sfondato il cranio. Era un uomo sulla sessantina, non molto alto. In una mano stringeva ancora una sigaretta appena incominciata.

…”ooh, per una sigaretta non è mai morto nessuno!”. Me ne ero uscita così improvvisamente, con il tono sicuro di chi pensa di dire una cosa originale, strana forse, ma utile per richiamare l’attenzione e magari intavolare una discussione. Di proposito avevo frugato rumorosamente nella borsetta per cercare il pacchetto di sigarette, e quel rumore per un istante aveva disturbato Anton mentre ascoltava la musica di quel nuovo compositore, Arnold Schoenberg, che tanto lo affascinava….

Il commissario incominciava a farsi un quadro della situazione e non ci mise molto a capire che si era trovato tra le mani un caso già chiuso. Quel poveraccio era morto per un “incidente”, il caso sarebbe stato archiviato e nulla avrebbe potuto fare un povero commissario di polizia in una città in stato di occupazione.

Decise comunque di fare il suo dovere: ispezionare il luogo del delit… anzi dell’incidente, interrogare i testimoni e gli eventuali sospettati, poi rientrare alla centrale e stendere il rapporto.

…All’inizio in verità Anton faticava a seguire la trama della composizione, gli pareva oscura, oscura almeno per lui che ancora non era abituato a sonorità così moderne.

Era immerso nell’ascolto di quel pezzo così nuovo e affascinante, ma a causa della borsetta e delle mie stupide sigarette probabilmente si era perso alcuni particolari e ne era stato visibilmente infastidito. Di solito nulla poteva distrarlo dall’ascolto di un brano musicale, eppure questa volta una ragazzina impertinente lo aveva costretto ad alzare lo sguardo e aveva interrotto la sua concentrazione… in fondo un po’ ne andavo fiera… Anton però ne era rimasto sorpreso, e un poco turbato…

Appena la donna fu lasciata sola dai soldati il commissario le si avvicinò, ma la trovò in un tale stato che interrogarla gli sarebbe parso disumano, così decise di stare a conversare un po’ con lei, sentire che cosa aveva da raccontare e magari provare ad aiutarla.

Dopo essersi presentato le si sedette accanto e stette ad ascoltare.

La donna, una elegante signora ancora piuttosto giovane, non senza sforzo raccontò al commissario la sua versione dei fatti.

Mi chiamo Anna, Anna W – disse la donna.

“E’ stato orribile vederlo lì steso a terra. Ho udito lo sparo mentre ero intenta a leggere la partitura del concerto…” disse indicando uno scrittoio con fogli sparsi, diverse matite e gomme “…Anton era appena uscito, voleva fumarsi una sigaretta… e prima abbiamo scambiato solo poche parole: io ero inquieta… per i soldati in casa di mio genero o forse per qualcosa che sentivo di strano, nell’aria.. non so…”

“era suo marito, immagino” – la interruppe il commissario.

…Mi ricordo bene, avevo preso il pacchetto e ne avevo tolto due sigarette. Poi con calma mi ero girata verso di lui e senza guardarlo gli avevo ripetuto: “allora non vieni a fumare con me?”

Anton probabilmente in quel momento stava realizzando quale seccatura fosse avere una ragazza intorno mentre si sta ascoltando la musica più bella del mondo.

“che dici posso fumare qui, in casa?”

“mhm…”

“come?”

“sii..”

Forza, è il momento giustopensavo stando sulle spinenon c’è nessuno in casa… uff, incomincerà mai questa storia?

Che seccaturadoveva pensare Antonma non dovevi uscire a fumare?…io ho bisogno di concentrarmi, voglio continuare ad ascoltare il concerto…

Mi ero avvicinata alla finestra del balcone, ma appena aperto ero stata investita dalla calura estiva e così avevo deciso di richiudere e di rinunciare a fumare. Da un po’ Anton aveva smesso di pensare a me, aveva chiuso gli occhi ed era di nuovo immerso nell’ascolto…

“Sì, siamo… Beh, eravamo sposati da diversi anni… Mio marito era un musicista, un compositore… Aveva bisogno di una sigaretta, anche se io gli avevo detto che mi sentivo inquieta… Avevo notato che anche lui era nervoso, era rimasto a lungo in silenzio a picchiettare la sigaretta sul tavolino e mi guardava in un modo… Non so…

E poi era così preciso, non avrebbe mai lasciato un suo lavoro senza annotare a margine le idee che gli venivano in mente, nemmeno per una sigaretta…” sospirò e di nuovo parve assente.

…Il pezzo era terminato e Anton percepiva uno strano silenzio intorno. Quando aveva riaperto gli occhi io non c’ero più, ero stanca di aspettare e avevo deciso di andarmene.

La casa e il cortile erano sempre assolati e silenziosi e io ormai avevo deciso: se quello non si dà una mossa io me ne vado e tanti saluti…

Il commissario si chinò in avanti per sorreggerla, ma lei si riprese: “Sa, io ormai conoscevo la sua tecnica compositiva, la sua scrittura era così precisa! …E quel nuovo concerto, sarebbe diventato un capolavoro… Mio marito scrive musica di grande profondità. Non ha un grande successo, ma che vuole, in Austria siamo ancora fermi al romanticismo…  La mia musica rimarrà! – diceva nei momenti di sconforto… e io di questo sono sicura: mio marito ha reinventato il contrappunto…” concluse poi incominciando a singhiozzare “Forse avrei dovuto insistere, potevo fermarlo…”

“Via signora, non dica così! Quello che successo è colpa di questa guerra, che ha reso tutti folli.” intervenne il commissario che si era ormai dimenticato di essere in presenza di un testimone, se non addirittura di un possibile indiziato.

…Da sotto, dal cortile, mi era parso di sentire qualche movimento, forse era lui, si era sporto per sentire se ci fosse qualcuno in giro.  Infine lo avevo chiamato un’ultima volta.

Testardamente lo avevo aspettato di sotto e finalmente lui era sceso e si era lasciato andare quel tanto che bastava per convincerlo a fare una passeggiata con me.

Era da poco passato mezzogiorno quando io e Anton uscivamo di casa diretti verso il Prater…

“Non potevo immaginare che finisse in questo modo… eppure quando l’ho visto avvicinarsi a quello stupido cofanetto” disse la donna indicando un elegante portasigarette d’argento appoggiato su una mensola  “non sono riuscita a trattenermi…

l’ho ripetuto per l’ennesima volta, quasi senza pensarci: quel vizio finirà per ucciderti!”

 

IR.

Verso mezzanotte il commissario Kammerton prese la via di casa assorto in cupi pensieri.

Gli pareva di non conoscere più la sua città, la tranquilla Vienna di un tempo. Sentiva estranee persino le case, come non ne avesse mai visitate e le strade, come non le avesse percorse un’infinità di volte. Uscendo da quell’edificio sentì tutto il peso di una allucinante routine, fatta di delitti, incidenti, incidenti che sembravano delitti e delitti fatti passare per incidenti. Mentre scendeva le scale non vedeva nemmeno più i soldati inglesi e si sforzava di immaginare quella donna così come avrebbe voluto incontrarla: in piedi, sorridente, in amabile conversazione. Per questa sera si voleva lasciare tutto alle spalle: avrebbe voluto non dover vedere il cadavere di quell’uomo, un musicista gli avevano detto… Kammerton amava la musica e vederlo sul podio a dirigere l’orchestra, o al pianoforte, questo sì gli sarebbe piaciuto, sentire la sua musica, tanto forte da coprire gli spari di tutti i fucili, delle guerre, dei delitti! Il commissario pensò di non capirci più nulla, gli ci sarebbe voluto del tempo per convincersi a non riaprire quel caso. Non era proprio cosa, morire per cause di guerra (delitto, operazione militare?) fumandosi una sigaretta sul terrazzino di casa… forse anche un povero commissario di polizia avrebbe potuto fare qualcosa, ma in condizioni normali, non certo in una città occupata! E così aveva deciso di fare un’eccezione e di non svolgere come sempre scrupolosamente il suo dovere, almeno non fino in fondo. Non sarebbe neppure andato in centrale a fare rapporto, almeno non quella sera.

Alla fine aveva lasciato la povera donna in compagnia dei soldati, si era allontanato da lei per evitare di cadere lui stesso in uno stato di prostrazione, per non doverle parlare di tutti i suoi dubbi e finire per chiedere aiuto a lei, sarebbe stato patetico… così a un certo punto la salutò e un po’ bruscamente si congedò da lei.

Era solo un brav’uomo, non più giovane per giunta, e volentieri quella sera si sarebbe sfogato con lei, avrebbe voluto lasciarsi andare. cominciò a fantasticare… “Mi chiamo Kammerton, Gustav Kammerton” …

Come sarebbe stato bello vederla in un momento diverso e presentarsi a lei in uno stato migliore! magari incontrarla a teatro, o alla prima di quel concerto di cui ormai non rimanevano che fogli sparsi.

Era uscito da un po’, non aveva voglia nemmeno di fumare, cercò di riprendersi, ma cadde di nuovo in quello stato depressivo. Non era più inquieto, ma nemmeno sereno, era semplicemente estraneo, alle case, ai soldati, alla solita fresca aria notturna che altre volte l’aveva aiutato.

“Mia moglie!”  pensò a un tratto “…siamo separati da poco e forse già mi manca… Non avevo bisogno di sigarette, come le dissi mentendo prima di uscire. Lei non disse nulla, non sembrava inquieta e non aveva notato nulla di strano in me. Ero uscito così, con disinvoltura, senza nemmeno guardarla… Forse invece avrei dovuto lasciare questo lavoro, senza alcun ripensamento…”

Per un attimo si sentì sollevato, forse l’aria della sera gli stava facendo un buon effetto. Durò poco però.

“Non ho la minima idea della musica di questo compositore… mah, ci sono tanti compositori oggi, ma si è persa la profondità dei classici, ci si accontenta di un facile successo.  Ultimamente in Austria sembrano essersi messi tutti a inseguire le novità, ma di capolavori ne nascono pochi… Mi pare che si tratti per lo più di roba destinata a durare una stagione, a cadere presto dimenticata… O forse questo Anton valeva veramente… Certo il destino gli ha giocato un brutto scherzo… forse la fine della guerra servirà a calmarci e a farci rinsavire un po’, chissà…

Kammerton ritornava col pensiero al caso di quella sera, ma ora quel pensiero gli pareva meno opprimente. Ripensò alla signora, la sola testimone, o forse anche la possibile indiziata. Forse lei aveva voluto che finisse proprio così. Forse proprio lei l’aveva spinto a uscire per fumarsi una sigaretta, e tutti sanno quanto sia rischioso fumare all’aperto in tempo di guerra, in una città occupata.

Ripensò a quel portasigarette d’argento, piuttosto insolito… Sì, forse era stata proprio lei a spingerlo… poteva avergli detto una cosa come: “via, in fondo una sigaretta non ha mai ucciso nessuno!”…

Kammerton alzò lo sguardo e vide che la notte era tranquilla, respirò profondamente l’aria notturna per scacciare questi pensieri.

Gustav rimani sempre un dannato poliziotto.” disse tra sé, quasi compiaciuto, mentre imboccava la via di casa.

Giovanni Bataloni (2009)

 

* Il racconto è liberamente ispirato alla vicenda della morte del compositore austriaco Anton Webern avvenuta il 15 settembre 1945 come ricostruita da  F. Herzfeld (Neue Zeitschrift für Musik, 1958/147).